Ci sei già stato, ci sei tornato e ci ritorni ancora. Vale sempre la pena! E sai già che lo farai presto di nuovo

Il monte Terminillo


A volte si finisce per frugare sulle tante guide a disposizione col solo intento di individuare una escursione facile, capace solo di farti passare un po’ di tempo all’aria aperta, meglio se con delle belle montagne intorno, meglio ancora se lo sguardo si può allungare all’infinito, magari con la possibilità che l’escursione abbia i connotati di una passeggiata e magari ancora con un punto di appoggio, di ristoro, comodo nelle vicinanze. Insomma capita anche che non si abbia la voglia di sudarsi la montagna, pur avendo la voglia di viverla. Tanti sono i monti che si prestano a delle belle e facili escursioni, che risparmino fatiche e sudore ma poche sono “facili” e gratificanti come il Terminillo, poche hanno un rifugio facilmente raggiungibile, attrezzatissimo ed ospitale a pranzo, poche in solo poco più di quattrocento metri di dislivello ti danno la possibilità di salire su qualcosa che possa ricordare il tetto del mondo, ed è per questo che l’abbiamo scelta per l’escursione di oggi. Quando poi le condizioni meteo sono speciali, cielo terso e limpido, con il sole caldo ed il vento quasi assente l’idea del Terminillo diventa la soluzione perfetta. Partenza da casa comoda, non avevamo fretta, la Salaria, la bellissima Salaria ci ha introdotto lentamente verso la nostra montagna; se ne parla sempre poco di questa nobile strada, eppure un viaggio su questa lunga striscia d’asfalto è già di per sé una storia, una bella esperienza per i paesaggi che scorrono ai lati del finestrino. La sagoma del Terminillo era già intuibile poco fuori Roma, inutile dire che già da lontano si intuiva che la quota neve era davvero molto alta, quando siamo arrivati il paese stesso di Terminillo ne era praticamente privo. Anche la strada verso Leonessa era totalmente sgombra di neve, intorno i pendii erano bianchi ma al di fuori dei fossi e delle valli affioravano tante pietre; nonostante la scarsità del manto bianco, come sempre in inverno, oltre la sella nei pressi del rifugio Sebastiani non si andava, la strada non era stata ripulita, ma questa è politica locale, non mi ci addentro, ma tanto è che a noi bastava così. Una fila di auto parcheggiate, una moltitudine incredibile di persone, in mezzo alla strada o arrampicate sui cumuli di neve ai lati, erano intente ad attrezzarsi di tutto punto; sembrava che tutto l’universo montanaro avesse deciso di darsi appuntamento al Terminillo oggi. Le ragioni c’erano tutte, erano da poco passate le 8 del mattino e le condizioni erano idilliache, sole, quasi assenza di vento, il freddo poco pungente e tutte le prospettive di una meravigliosa giornata in quota erano a portata di mano, ce ne era per tutti, a scelta tra semplici escursioni o arrampicate più alpinistiche dentro uno dei tanti famosi canaloni. Affascinante il tintinnio delle attrezzature appese agli zaini e lo scricchiolio che i denti dei ramponi producevano sul ghiaccio per chi già era in movimento; corde sulle spalle di molti, file multicolori che si avviavano verso i tanti canali, insieme al cielo turchino, alle linee precise e bianche dei pendii, alle linee verticali dei tralicci elettrici; era un orgia di colori e di geometrie, una cartolina antica e vivace. C’era nell’aria e si toccava con mano, nella moltitudine dei presenti, la voglia vivace e appassionata di viverla quella montagna che avevamo là davanti; ognuno alla sua maniera, per il suo pendio desiderato, per il canalone più o meno adrenalinico. Eravamo una sortita di montanari eterogenea eppure quella bella montagna là davanti ci accumunava tutti come ci stesse abbracciando. Vi ricordate i sette nani della famosa favola di Biancaneve, mentre fischiettando e cantando in fila andavano per il bosco, ognuno col suo bell’attrezzo, ma esattamente felici di stare a fare proprio e solo quello? Eravamo un centinaio di nani, tutti in preda ad una serena euforia. Si sentiva nell’aria. Come a tessere una ragnatela quella moltitudine si è sparpagliata in men che non si dica, i sentieri innevati hanno inghiottito i più, molti sono saliti verso la sella di Leonessa e spariti oltre, con le attrezzature che avevano, immagino avessero il canale Chiaretti-Pietrostefani come obiettivo, alcuni invece erano già alle prese con quelli centrali. Noi abbiamo preso per la cresta Sud-Est, mentre ci alzavamo di quota potevamo tenere sotto controllo i movimenti di tutti. Le voci ed il tintinnio delle attrezzature lentamente sono scomparse, ogni uomo era diventato veramente piccolo, il caso di dire un nano, in confronto alla vastità della montagna. Scesi dentro il piccolo vallone sotto il rifugio siamo risaliti fino allo spigolo della cresta seguendo le linee che più si adattavano alla nostra voglia di impegnarci, la neve era ghiacciata, i ramponi facevano bella presa; la linea della cresta sopra di noi, era perfetta nel contrasto col cielo blu, piccole cornici la rendevano ancora più intrigante. Ovviamente non c’era traccia di sentiero, era sepolto sotto i pochi centimetri di ghiaccio; più o meno abbiamo seguito la linea del tracciato che era nei nostri ricordi fino a giungere a cavallo dello spigolo. In alto, verso la prima gobba il pendio si scopriva dal ghiaccio, il verde bruciato dell’erba affiorava, il vento aveva fatto la sua azione, scoprendo le parti più in alto e più esposte e spostando la polvere bianca vero il fondo valle; insomma l’idea di farsi una pur breve salita in configurazione invernale si andava già infrangendo nella ineluttabile realtà di questo strano inverno. Fino al primo dosso comunque l’ampia cresta era ben innevata ed il fondo era ghiacciato, salire coi ramponi ai piedi è stato un autentico piacere, lenti e con ampie svolte scoprivamo luminosissimi orizzonti ad ogni passo. A tratti lo spigolo si faceva più irto, nulla di particolarmente tosto ma era la scusa per fermarsi ogni tanto e godersi il mondo intorno; ancora prima di arrivare alla spalla, dove poi il sentiero spianava e volgeva ad Ovest, il prospicente monte Elefante e la cresta che scende fino al Sebastiani hanno smesso di impallare l’orizzonte ad Est, sono uscite allo scoperto lo scoglio del Corno Grande e le vette più alte del Gran Sasso, iniziava a defilarsi la lunga catena delle montagne della Laga, si delineavano appena spolverati da una neve antica il Porcini ed il Monte di Cambio. Anche la Majella giù in fondo, anche se lontana, era un muro bianco che solleticava la fantasia. Ad Ovest un tappeto di nubi copriva l’orizzonte, sotto una caliginosa presenza impediva di delineare bene qualsivoglia dettaglio. Tante volte son salito e forse mai ho prestato molta attenzione, verso Sud, sembravano lì sotto come una naturale continuazione dei Reatini, belle e importanti presenze; erano il monte Nuria, imbiancato nelle alture sommitali, ed il monte Giano con la sua imperiosa scritta “DUX” bene in evidenza. Poco dietro, almeno la chiarezza degli orizzonti vicino lo facevano sembrare, tutto il gruppo del Velino si faceva distinguere nelle sue dorsali volte verso Nord-Overst, il Cagno-Ocre, l’Orsello, il Cornacchia-Puzzillo, la piramide del Velino. Solo chi sale le montagne, solo chi le ama può capire che tutto questo elenco non è solo una didascalica nota geografica. Semplicemente era tutto ammaliante. Abbiamo raggiunto la prima spalla, il pendio si è appianato, incombevano le prime torri Sud del Terminillo, la cresta sul versante Nord dove precipita, formava qualche cornice più importante, segni di sfaldamento erano già presenti sul manto nevoso, sotto un pendio ripido e levigato precipitava verso valle. Il versante era ora più esposto ai venti ed anche al sole, affioravano le rocce ed il manto nevoso si concentrava nella parte alta della cresta, a tratti procedendo ora verso Ovest, i ramponi grattavano sulle pietre e pettinavano i prati arrugginiti; sempre più frequenti comparivano le bandierine bianco-rosse, ormai il sentiero era evidente come se fossimo in primavera. Diventava più difficile avanzare, non era ora di togliere i ramponi ma era anche difficile in alcuni tratti averli ai piedi; dopo un tratto in piano abbiamo iniziato ad aggirare lo spigolo Sud, iniziavano i primi saltini rocciosi. Accanto alle rocce, dove abbiamo trovato puntualmente le bandierine bianco-rosse, la neve risentiva del calore che le rocce stesse accumulavano irradiate come erano dal sole, la neve apparentemente solida si apriva in profonde buche, dovevamo evitare di passare troppo vicini alle pietre e dovevamo scegliere traiettorie improvvisate, ora in mezzo ai ginepri ora sull’erba nuda. Girando intorno allo spigolo, ormai l’orizzonte ad Est era solo un muro di roccia, altri piccoli salti con le stesse inconsistenti difficoltà e poi un paio di lunghi e subdoli traversi, per fortuna formati da solida neve, fino al piccolo canalino che preannunciava la vetta. Il canalino, incassato tra le rocce, in estate è formato da grossi blocchi che vanno a formare vari salti ed è molto divertente da salire, in questo pur strano inverno era invaso di neve, non era ghiacciata ed abbiamo dovuto gradinare, ma era sicuro e siamo saliti bene. Superati i pochi metri di questo canale si intuiva già la vetta, lo spigolo si attenuava, in breve abbiamo sfiorato l’uscita del canale Sud, un gruppo di soccorritori stava esercitandosi, in queste condizioni direi anche divertendosi, in un salvataggio; una barella è sempre un brutto vedere in quota, per fortuna era vuota. Una folla in vetta ci attendeva, altri in fila stavano arrivando dal versante Nord, di certo dalla Chiaretti Pietrostefani , il canale centrale era una piccola processione di escursionisti in salita mentre un gruppetto era poco più sotto, sull’altro versante, dove ha inizio la dorsale del Sassetelli. Tutti quelli che erano giù ad armeggiare un paio di ore prima stavano convergendo in vetta, una gioia condividere la passione per la montagna e quello che più è incredibile è che tutti, chi più chi meno, di certo avranno sudato e faticato per raggiungere la vetta ma tutti, tutti indistintamente avevano una espressione felice e leggera sul viso. Si potesse replicare l’ambiente della montagna in città saremmo tutti diversi, ne sono convinto. Ormai eravamo assuefatti al panorama che avevamo intorno, dalla vetta tutto era ancora più dettagliato e geograficamente posizionato rispetto alle montagne vicine, sembrava di vedere e quasi toccare una carta tridimensionale degli Appennini; i miei, i nostri Sibillini, erano finalmente scoperti anche loro dalle montagne vicine, vicinissimi, pieni di dettagli, bellissimi. Affascinante e piena di ricordi era la cresta del Terminilletto che precipita verso il passo del Cavallo, anche se breve uno dei più bei tratti di cresta degli Appennini, secondo il mio modesto parere. Siamo rimasti un po’ in mezzo alla folla a gustarci il momento, poi abbiamo ripreso a scendere per la stessa via di salita, una giornata facile doveva essere e tale l’abbiamo fatta rimanere. La discesa si è rivelata più facile di quello che pensavamo, solo i due traversi, con quella subdola pendenza, ci hanno fatto un po’ tribolare ma una volta sulla spalla la discesa è stata una facile “scivolata”… Il rifugio era affollato, ma due posti liberi c’erano e la cucina semplice non ha tradito le aspettative. La giornata è andata come volevamo, leggera e di grande soddisfazione, le condizioni meteo perfette ci hanno regalato panorami infiniti e dettagliati, era ora di tornare a casa; non potevamo davvero chiedere di più.